Per un'altra concezione del lavoro... o come resistere alla rovina della felicità
Intervista con Jean-Gabriel Périot

 

“Ma tu perché ritorni a tanta noia?
Perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?”
Dante, La Divina Commedia – Inferno

 

Dal 2000 jean-Gabriel Périot presenta le sue opere sotto forma di installazioni o di proiezioni. Interessato al mondo del lavoro, alla violenza in tutte le sue forme e all'intimo quale depositario dell'universale, accetta di concedersi un po' di più, oltre le immagini... A partire dai suoi primi lavori - l'installazione Le travail, il video Gay ? - fino al suo ultimo film Nijuman no Borei  (200000 Fantômes), un itinerario da seguire senza moderazione.

 

Come lavori? Da solo? Con altri artisti?

Lavoro sempre più da solo. Durante la preparazione, scrivo da solo, poco, e leggo molto. Ci tengo a mantenere il massimo grado di libertà. Mi faccio aiutare quando ottengo un sostegno finanziario. Ma in generale si tratta di lavori di natura tecnica e non artistica. Quando mi è possibile, lavoro con un montatore del suono. La maggior parte del tempo, lavoro le mie immagini su una musica pre-esistente, su un ritmo. Ascolto moltissima musica, per puro piacere. A volte la musica e le problematiche che affronto i intersecano. A partire da Nijuman no Borei, ho scoperto che le parole dei Current 93 (Larkspur and Lazarus in Soft Black Star) rispecchiavano le mie tesse preoccupazioni e perciò ho deciso di utilizzarne la musica. Questa non è stata composta appositamente per il fi lm. All'inizio non so sempre verso quale direzione finirà per portarmi il film. Il fatto di lavorare da solo mi consente di non trascinare con me altre persone verso questo ignoto (evitando in tal modo di far loro perdere tempo), e mi permette di lasciare il mio lavoro libero di evolver i nella fase di montaggio. Solo Devil Inside è stato realizzato in collaborazione con il grafico Tom de Pékin. L'esperienza è stata appassionante, ma non sono del tutto soddisfatto del risultato. In qualsiasi collaborazione, c'è sempre una componente di rischio che bisogna essere in grado di accettare...

 

Le tue opere spesso oscillano tra sperimentazione e documentario. Come sei arrivato a questa attuale modalità di lavoro?

La maggior parte dei miei film sono delle prove. Ho cominciato a lavorare abbastanza tardi. Quando ero adolescente volevo fare cinema, poi ma n mano le mie celte i sono precisate, spingendomi nella direzione del documentario. Inizialmente ho seguito un percorso più tradizionale come montatore, poi come assistente alla regia. Ma le cose non progredivano... Allora ho deciso di realizza re delle installazioni. Dopo ho avuto la possibilità di cominciare a proporre delle installazioni documentarie incentrate sull'intimo e sul lavoro. L'aspetto forte mente documentari o della mia prima installazione, Le travail, è rappresentato attraverso questa compilazione di curriculum vitae recuperati, pre-esistenti... Ma ero soddisfatto solo in parte. Nel principio stesso dell'installazione è insita una frustrazione derivante dal fatto di poter mostrare il proprio lavoro solo in due o tre luoghi. E per sopperire a questa mancanza che ho realizza to una versione-film di 21.04.02. Sentivo in me la vera e propria urgenza di parlare, la speranza impaziente di agire sul mondo a modo mio.

 

Cosa cerchi nelle immagi ni altrui?

Non cerco risposte, ma piuttosto di cogliere la posta in gioco espressa dalle immagini. Cerco ciò che mi pone interrogativi, e il motivo per cui lo fa. Vi sono diverse categorie d’immagini, un'ampia gamma d’immagini divere. Speso è la presenza di una certa ambivalenza nelle immagini considerate nel loro insieme ad interpellarmi, ad esempio tra l'aviazione e il cinema... Esistono immagini difficili da cogliere, che pongono immediatamente un problema, come in Eût-elle été criminelle..., e altre a prima vista molto più semplici, come in Dies Irae. Ma queste immagini semplici, una volta raggruppate in un corpus, evocano paradossalmente le immagini de i carnai (assenti dal film) e rimandano alle problematiche che portano con sé.

 

Come s pieghi l'impresa di questa immensa raccolta pittorica? Talvolta prendi in mano la mdp per filmare?

Quando trovo d elle immagini che mi presentano un problema, cerco una forma adatta per interrogarle, per proporre una nuova lettura. Guardo e riguardo le immagini decine di volte. Possiedo un corpus d’immagini fisse e in movimento che mi fanno riflettere... Senza mai esaurirsi. E la collezione a essere interessante, e non la fotografia, nel suo carattere unico. Montando Eût-elle été criminelle… sapevo bene dove volevo arrivare, verso quale rilettura volevo portare lo spettatore: “Com'è possibile racchiudere due co e contraddittorie nella te a immagine? (Uomini francesi che radono donne francesi accusate di essere state con dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale). Sempre estremamente focalizzato sulle immagini esistenti, non filmo mai! Per filmare nella maniera giusta, bisogna avere una pregnanza sul mondo che io non possiedo. Potrò solo cogliere il vuoto. Prima di essere in grado io stesso di creare delle immagini, ho ancora bisogno di rispondere attraverso i miei film a questa domanda: cos'è un' immagine?

 

Utilizzi più volte le stesse immagini, gli stessi suoni, in diversi tuoi film?

Dal momento che lavoro a partire d a una congrua collezione di immagini, ve ne sono alcune che fanno riferimento al mondo del lavoro e che ho utilizzato per la mia installazione Désigner les ruines e riutilizzato nel film We are winning don’t forget.

 

I tuoi film s i compongono di immagini fisse, a partire dalle quali ricrei il movimento. Cosa comporta per te questo rapporto con il movimento?

Si tratta di un fenomeno che si è verificato un po' per caso. Alle tendo la mia installazione 21.04.02, mi sono reso conto che era necessario costruire le immagini, trovare un ordine, un'architettura. Bisognava trova re una certa fluidità, senza cui l'occhio può tancarsi facilmente, rischiando lo sfinimento. Ponendo le immagini una dopo l'altra, secondo un ordine preciso, mi sono reso conto che si poteva fare dell'animazione... Sono subito stato sedotto da questa pratica che si riallaccia a questo bisogno di far apparire un'altra immagine.

 

Continuerai? Cambierai qualcosa?

Sicuramente non ho voglia di perdere tempo... Non rincorro una carriera, ma sento un immenso bisogno di fare e dire delle co e. E per agire nella maniera più libera possibile, per me è fondamentale non essere vincolato all'aspetto economico. Perciò ho scelto di volgere una professione che mi dà da vivere, accanto al mio lavoro artistico. Sono montatore di documentari di archivio per la televisione... e, da poco, di corto metraggi d i finzione narrativa. In un certo senso una circostanza fortunata, perché il mio prossimo progetto è un'opera di finzione sul tema del lavoro. La storia di un giovane che non trova il lavoro che desidera. Abbiamo ottenuto i sussidi del CNC e della regione di Limoges, e le riprese sono previste per ottobre 2007. Ora sono alla ricerca di un cameraman e di un direttore della fotografia, perciò sperimenterò per la prima volta il lavoro con una troupe. Girato in pellicola, il film funzionerà su due registri di immagini: da un lato, delle immagini notturne molto granulose, colori caldi... dall'altro, immagini chiare, dalla luminosità aggressiva. Non ho un genere preferito, ma piuttosto delle tematiche che mi stanno a cuore. Per questo progetto, l'opera di finzione si è autoimposta. Poi riprenderò un progetto di documentario...

 

Ti sei dedicato a diverse professioni molto varie ... Oggi, come preferisci essere qualificato?

Non mi piace questa denominazione di artista video, né quella di videoasta o cineasta. Non amo questa separazione tra video, cinema... Sono un regista.

 

l tuoi film rappresentano in certa misura dei ritratti. Cosa ne pensi? Perché questa forma?

La motivazione che mi anima è molto semplice ... l miei film possono essere considerati come il ritratto di una persona, di un tempo o di un luogo precisi... Parto da piccole cose, da piccole forme, per arrivare al ritratto di un qualcosa di più ampio, di maggiormente simbolico. Dies Irae, con il suo accumularsi di strade, di luoghi, di paesaggi, è una metafora della vita. Tale accumulo fa comparire una terza immagine (cara a Jean-Luc Godard, ndr), che appartiene all'inconscio. In Dies Irae, si tratta di un universale del paesaggio, che affiora attraverso la sensazione di somiglianza. Analogamente, per la musica, una determinata tonalità asiatica sembra liberarsi dal film, mentre le parti asiatiche non sono predominanti. Così, in We are winning don’t forget è l'idea, l'immagine-tipo dell'operaio che viene alla luce. Ma si tratta di un'immagine falsa! Ed è proprio questo che voglio mettere in evidenza.

 

l tuoi film si sforzano di rievocare i fantasmi della Storia... Che rapporto hai con la rovina e con la memoria?

La rovina è legata alla memoria. Cristallizza un momento della Storia in maniera violenta. Ciò che mi pone degli interrogativi non è la rovina stessa, ma la sua nidificazione. Aspetti contradditori si mettono in relazione: in 200000 Fantômes, interrogo la memoria e l'oblio. Hiroshima rievoca la tragedia, ma allo stesso tempo un'oscenità della modernità in lotta contro la rovina. Mi interesso alle rovine come alle immagini. Si dimentica il senso di lettura di certe immagini importanti... Sono queste immagini-rovine che mi interpellano! Lo stato di rovina in tal modo diviene universale...

 

L' intimo e l' universale per te sono inestricabili?

l miei film intimi non sono delle catarsi ma delle opere di pura finzione narrativa. Sono letteralmente messi in cena. In Journal Intime, svelo una condizione fisica provvisoria. Ho utilizza to questa condizione fisica impressionante per parlare del corpo nella sua universalità, della sua decostruzione, della sua fragilità... Non c'era un bisogno fisico, ma un bisogno intellettuale di pensare alla condizione fisica come i pensa allo stato del mondo.

 

Cosa ne pensi dell'idea d lla militanza? Quali sono le pratiche possibili?

Non sono un adepto convinto di Bourdieu, ma concordo abbastanza quando afferma che per cambiare il mondo "ognuno deve agire a livello locale". Non sono il militante tipico, di cui tuttavia ammiro l'impegno, l'a unzione del rischio. Pur non correndo lo stesso grado di pericolo, esprimo il mio risentimento nei confronti del mondo attraverso i miei film!

 

Qual è il tuo punto di vista sul mondo del lavoro?

Si tratta dell'ambiente maggiormente politico. Del luogo principale di tutte le ideologie. Marx esprime questa idea di lavorare e condividere i guadagni. Ma Lafargue (Le droit à la paresse / Il diritto all’zio) solleva un quesito: perché non lavorare meno? Bisogna ripensare il mondo del lavoro, perché il modello attuale di lavoro-produzione-consumi, in constante accelerazione, fa precipitare l'uomo verso la perdita di se stesso. Considero estremamente importante la teoria d ella decrescenza. Bisogna lavorare per costruire. Bisogna preservare questa nozione di utilità del lavoro, da condividere con tutti. Nelle no tre società occidentali contemporanee, stiamo tornando indietro. Non capisco la teoria capitalista. Oggi regna un naturalezza nei confronti del lavoro stipendiato che mi risulta incomprensibile.

 

Che posto occupa la felicità nella vita? La felicità esiste? O è un'utopia? Una ricerca? Un ricordo?...

Per me è l'obiettivo da raggiungere. Dovrebbe rappresentare il fondamento dell'umanità. Ho un'etica di vita, di natura politica, abbastanza gioiosa. Privilegio la felicità del quotidiano, faccio le cose volentieri. Mi piace intrattenere un rapporto semplice con la quotidianità e la condivisione. Il principio di generosità è a mio parere primordiale. E necessario essere attenti a tutto, attenti alla gente. Cerco di avere un rapporto con le cose improntato sulla felicità. Restando vigili, è sempre possibile trovare il piacere nelle cose. Non capisco la violenza, il lavoro è violento. So benissimo che la violenza è ciò su cui si fonda l'umanità, ma ritengo che non sia possibile essere al tempo stesso violenti e felici.

«Non è la felicità che conta?
Non è per la felicità che si fa la rivoluzione?”
Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari

 

di Emmanuelle Sarrouy
Mostra di Pesaro, 2007